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Riccardo Mannelli: Scalfari mi trattò da delinquente

Il disegnatore racconta come fu cacciato da “Repubblica”. Un passato di viaggi e reportage. Lo smarrimento attuale rispetto a «tutto questo accumulo di presente» e alla finta realtà

Riccardo Mannelli è uno dei più bravi disegnatori italiani, ma gliene importapoco perché trova assolutamente normale, anzi il minimo dei minimi, conoscere alla perfezione l’anatomia e saper ritrarre qualunque cosa dal vero in modo perfetto. E’ andato in giro per il mondo a fare reportage anche dove piovevano bombe, a proprie spese e pubblicando poi tutto in libri – come Nicaragua -, ma adesso dice che haun’altra testa e non ne avrebbe più alcuna voglia. E’ stato costretto più volte ad andarsene da questo e quel giornale – ha lavorato per BoxerLinusAlter LinusPlaymen, L’EuropeoBlue, RepubblicaLa StampaIl Messaggero, Lottacontinua -, ha subìto ostracismi di tutti i tipi, e non se ne lamenta né se ne gloria, perché «la libertà assoluta che mi sono preso l’ho dovuta pagare, quindi l’avevo messo in conto». Nemmeno di essere ricordato tra i padri fondatori de Il Male gli sembra importante: «Mi divertivo pochissimo, avevo solo vent’anni; ho contribuito a farlo uscire ma che vuol dire? Di che dovrei vantarmi? Io lo so come ero:scemo. Non capivo niente». Però quello di Mannelli non è un elegante understatement, anche perché sull’aggettivo “elegante” avrebbe molto da dire, e sull’understatement non ne parliamo, lui pistoiese tremendo, che usa la lingua e la penna per colpire e non per accarezzare, ci va giù duro, non sdrammatizza ma casomai denuda, tocca esaltandoli i punti dolenti della nostra ipocrisia, cerca di fare male. No, quello di Mannelli verso se stesso è piuttosto un atteggiamento conseguente alla voglia che non l’ha mai abbandonato di riflettere sul mondo, sulla storia, sui grandi perché, cose di fronte alle quali si sente, giustamente, poco interessante. Di questo gli piace parlare, su questo è concentrato. E se racconta volentieri della mostra che sta preparando, bastano pochi minuti ed eccolo a discettare di simbolismo, fondamento secondo lui della contemporaneità e immediato pretesto per agganciarsi alla situazione che viviamo.

Lei sta preparando una mostra che farà convivere due artisti di epoche diverse, Riccardo Mannelli e Felicien Rops. Perché questa combinazione?

L’assunto fondamentale è la specularità delle carriere, perché Rops è stato come me illustratore, disegnatore satirico, pittore, incisore, e nel mondo artistico non sono frequenti figure come noi. Lui è stato il primoillustratore de I fiori del male  di Blaudelaire, sua è quella spendida famosissima incisione, di cui fece anche un quadro, che si chiama Pornocrazia, la donna bendata che porta un maiale al guinzaglio. Ad avere l’idea dell’abbinamento è stato il curatore Luca Arnaudo, d’accordo con i proprietari della galleria, Matteo Ghirighini e Filippo Rotundo, che gestiscono questo nuovo spazio espositivo «Philobiblon».Volevamo sottolineare soprattutto la contemporaneità di quello che nella storia dell’arte è stato definito il simbolismo. Io ho sempre rifuggito le etichette ,ma da tanti anni se mi chiedono come ti definisci, rispondo “neosimbolista”, spiazzando l’interlocutore perché il simbolismo sembra una cosa antica e polverosa, mentre i primi simbolisti furono quelli che cominciarono a inserire nella figurazione artistica il mondo reale al posto del mondo sacro, mitologico. Il cosiddetto simbolo è il fondamento della contemporaneità, e noi siamo ancora in questa epoca.

Un’epoca che durerà ancora a lungo o che sta finendo?

Siamo agli sgoccioli. Viviamo nel presente da una quarantina d’anni, per questo il mondo s’è fermato. Siano nati in quello che è stato chiamato ilsecolo veloce, dopodiché c’è stata questa frenata pazzesca, con un paradosso eun frainteso epocale che riguarda il ’68 e dintorni, dove gli ultimi rantoli di vitalità sono stati scambiati per il vagito di una nuova nascita. Ma tutto quello che è venuto fuori in quegli anni è stato assolutamente sepolto, a riprova che non c’era nessun vagito. Ora parliamo di femminicidi, uguaglianza, dirittidei lavoratori, solidarietà internazionale… ma allora, quarantasei anni sono passati inutilmente? Una parte della mostra poi è un ciclo pittorico, una serie di ritratti femminili col titolo sfida Sonouna donna, ammazzami: donne di tutte le età si sono proposte e le ho ritratte nude dal vero come sempre, l’idea è di dire guarda, maschio, io sono fatta così, o ce la fai ad accettarmi o ammazzami.

Anche lei, come molti che fanno satira, pensa che Berlusconi sia stato il responsabile di vent’anni di superficialità, stupidità, insensatezza?

Il problema non è stato affatto Berlusconi. E’ stata un’impennata di iperitalianità, come fu il fascismo. Un momento (parliamo di vent’anni in tutti e due i casi) in cui gli italiani sono stati sopraffatti da sé stessi.Vent’anni di italianismo, non di berlusconismo. Ma se Mussolini ci aveva provato, a fare qualcosa per gli italiani, Berlusconi invece non ha fatto niente di niente, si è limitato a pettinarli. Non è riuscito a fare nemmenoqualcosa per se stesso. Io lo giudico un babbeo, è sempre stato un babbeo… ma conveniva a tutti. Quando nella sua prima discesa in campo diceva meno tasse, mentre Occhetto diceva che le tasse bisogna pagarle contenti, chi doveva vincere? Quanto tempo è stato perso a criticare Berlusconi… io smisi per questo di essere un militante satirico, perché non se ne poteva più. Colpa degli elettori.  E se fai satira sul serio, e non le vignette che faccio adesso per Il Fatto e che con la satira hanno poco a che vedere, non te la prendi con gli eletti, ma con gli elettori.

E adesso? Si può parlare di renzismo, di post-italianismo o di cosa?

Di depressione. Molto meno pericolosa, d’altra parte, di quel delirio di onnipotenza degli anni ’90, quando gli italiani erano pimpanti e credevanodi aver fatto fuori una classe dirigente con Mani Pulite, mentre c’era stato solo un piccolo pool di magistrati a cui momentaneamente tutti erano andati dietro. Però non appena il pool ha cominciato ad arrivare a tutti, ai singoli cittadini, guarda caso sono venuti fuori gli egoismi, le leghe, si è ribaltata la frittata ed è uscito Berlusconi. Il futuro dell’Italia? Sarà eterodiretto, in gran parte lo è già. Parlo di finanza mondiale. Ci leveranno le ultime cose che ci hanno lasciato in mano e sarà giusto così, perché noi siamo presi da cupio dissolvi, quindi prima ci levano di mano gli ultimi balocchini e meglio è. Anche il mondo è depresso, anche qui è tutto fermo. C’è una vera crisi sistemica e ci sarà un cambiamento radicale, gli equilibri geopolitici si sposteranno. L’Occidente ha voluto la supremazia militare, lo sfruttamento, la sottomissione di altri paesi, quindi è chiaro che doveva finire in questo modo. E’ ovvio che butteremo via il bambino con l’acqua sporca, ma per me è un momento bellissimo, unico, perché sono curioso.

In Italia e in Europa sembra ci sia uno spostamento verso destra. Perché?

Preferirei parlare del binomio emancipazione/regressione, perché non si tratta solo di voler conservare lo status quo, ma di un ritorno a pulsioni primitive, di pancia, tribali. C’è stato quel ’68, in cui si pensava che tutto questo si potesse superare, ma eravamo tre gatti. La maggior parte dei giovani se ne stava a casa o andava a scuola, e i tre gatti erano in genere i privilegiati, i superborghesi in mezzo a cui mi sono trovato anch’io, che ero di estrazione piccolo borghese molto affaticata (insomma eravamo poveri, avevamo avuto un tracollo). Se non ci rendiamo conto che si trattava di una minoranza, non ci spieghiamo quello che è successo immediatamente dopo, negli anni ’80. Quindi nessuna novità: l’Italia torna a quello che è sempre stata, perché l’Italia è premoderna, strutturalmente. Il treno della modernità l’ha completamente toppato.

Che cosa intende quando parla di modernità?

Si parte dall’industrializzazione, che fu un grosso choc e mise in moto subito tutto il mondo dell’arte, del costune, dei diritti. Le società si dettero una sorta di autoregolamentazione che prima non esisteva, perché erano basate su diritti acquisiti per eredità, gestiti dalla chiesa e dai nobili. In Italia questo non è avvenuto, per cui siamo ancora sudditi e non cittadini, sudditi che non hanno dimenticato le varie dominazioni straniere, che raddoppiavano il senso di deresponsabilizzazione, perché tanto erano cazzi degli spagnoli degli austriaci. Lo stato era fuori di noi, era nemico, non eravamo noi. Con questo nostro imprinting storico non ci emanciperemo, non ce la faremo.

E se scegliessimo un’altra strada, tutta nostra? Non abbiamo poche qualità.

Sono d’accordo. Diciamo che questo consesso di peninsulani – perchégli italiani non sono un’etnia, ma antropologicamente costituiscono un’unitàperché da tanti secoli si riproducono qui – hanno un grande patrimonio: iltalento. Magari si inventeranno un tipo di emancipazione completamenteoriginale che contaminerà gli altri, ma o succede questo, come, per direun’ovvietà, nel Rinascimento, o non ci sarà nulla. Dobbiamo purtroppo dire unacosa che nessuno dice: il problema vero non è la crisi, è che non siamo piùcapaci. Il comportarsi bene, il fare bene il proprio lavoro, in senso ampiol’etica di quello che fai, permette a tutti gli esseri umani, non a quellifortunati che hanno diritti ereditati, di elevarsi, di avere dignità. E questaè la modernità. Che ci manca.

Nicaragua, ex Jugoslavia sotto le bombe, Cile, Argentina, Unione Sovietica durante la crisi di Gorbacev con i carri armati, e molti altri posti. Lei andava ovunque, faceva reportage. Adesso dove andrebbe?

Le graphic novel che adesso vanno di moda me le sono inventate io, ma qui nessuno mi prendeva sul serio e mi facevo i libri da solo. In Nicaragua sono stato al 5° anniversario della rivoluzione sandinista, per seguire le prime elezioni, ma grazie a questo grande supporto che noi italiani abbiamo da parte dell’Italia, tutto è rimasto in sospeso. Come diceva Freak Antoni, non c’è gusto a essere intelligenti in questo paese. Sono però stato anche inviato ufficiale di Repubblica, solo che micacciarono nell’89 per il famoso reportage del congresso socialista dell’apoteosi craxiana. Comunque no, non farei più nulla del genere. Civogliono muscoli, adesso non li ho e ho pure un’altra testa. Ora, come dicevo,c’è questo accumulo di presente che rende difficilissimo scegliere gli argomenti. Prima le cose si succedevano, ora è confusione, tutto è sullo stesso livello. Forse bisogna stare un po’ lontani da questa finta realtà.

Cacciato veramente o solo invitato a dimettersi, da Repubblica?

Cacciato da Scalfari, che cercò anche di dire che ero un mezzo delinquente. Era l’atteggiamento che avevo che non sopportava, perché era di assoluta indipendenza: se volete la satira, era la mia posizione, la satira non può avere le regole del resto del giornalismo. Tutti all’epoca dicevano che l’allegato del giornale, Satyricon, era una merda da chiudere, così quando mi chiamarono per collaborarci dissi be’, volete vedere come si fa a chiudere? Presi a fare le mie cose in unmomento di interregno, in cui c’era poca attenzione per quell’inserto, ma il congresso dei socialisti a Milano non passò. Era un reportage in cui alla mia maniera andavo a sfrugugliare, suscitando mal di pancia, mettendo parolacce. Io ero molto soddisfatto di farlo su un giornale “ufficiale” con 4 milioni di lettori, perché arrivavo a chi non la pensava come me. Dal mio punto di vista è stato uno dei momenti più divertenti della mia storia di satirico, altro che i periodi di Cuore, del Male. E poi tante altre vicende, ostracismi di tutti i tipi. Quello che ha alimentato una certa leggenda su di me, di scontroso, inaffidabile, ingestibile, è stato semplicemente essere un libero battitore e non appartenere a nessuna confraternita, non avere il pedigree giusto. Sono un anarchista fino in fondo, le cose che mi danno più fastidio sono le corporazioni e non ho mai voluto prendere nemmeno la tessera da giornalista. Ma ho sempre fatto quello che ho voluto, fino in fondo, compresa una tonnellata di cazzate. Anche adesso che sono costretto a fare cose che se potessi non farei, l’ho scelto io. Il progetto però è di liberarmi dalla dipendenza dai giornali, dedicarmi solo alla pittura. Voglio sganciarmi cinque minuti prima che mi sgancino loro, perché, se qualcuno non l’avesse capito, qui fra un po’ sparisce tutto.

Lei insegna Disegno dal vero e Anatomia allo IED, Istituto Europeo del Design. Ha a che fare con diciannovenni, ventenni. Come sono?

Desertificati fino al punto che noi insegnanti entriamo in crisi profonda, perché dobbiamo rivedere la nostra impostazione didattica che è troppo adulta, mentre loro sono dei bambini. Questi ragazzi sono per certi aspetti molto più puliti di noi, ma purtroppo devastati, inerti, inermi, con zero capacità di reazione anche se hanno tanto talento, sensibilità. Sono persi, rassegnati. Non hanno l’abitudine a mettere in gioco le loro qualità. Sono abbandonati, non solo dalla scuola ma da quegli orrori delle famiglie che hanno. Un abbandono proprio culturale, perché i ragazzi percepiscono che i genitori non è che non vogliano, ma proprio non sanno cosa fare, cosa insegnare. Non hanno quindi stima dei propri genitori, figuriamoci se possono avercela di sé stessi.